Percorriamo rapidamente il tortuoso percorso delle società di comodo dalla loro nascita ad oggi.

Prima di entrare nel vivo dell’argomento è il caso di sottolineare la natura diffamatoria della terminologia utilizzata. Definire una società “di comodo” nella lingua italiana sottintende uno scopo illecito od illegale o almeno moralmente compromissorio.

Per una volta rispolveriamo la nostra buona e vecchia Costituzione, che pare sia finita in soffitta od in cantina: comunemente dimenticata e trascurata.

Secondo la nostra Costituzione le leggi che istituiscono e regolano i tributi devono rispettare il principio di capacità contributiva secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Ci interessano due dei requisiti che caratterizzano il principio di capacità contributiva, e precisamente:

  1. L’attualità, perché il tributo, nel momento in cui trova applicazione,deve essere correlato ad una capacità contributiva attuale, non ad una capacità contributiva passata o futura.
  2. L’effettività, perché il tributo sorge dall’esigenza che il presupposto d’imposta sia effettivo e non apparente o fittizio.

Gli Uffici finanziari ci dicono, tra l’altro, che una società è di comodo quando e perché è costituita a scopo di elusione fiscale oppure per consentire ad un imprenditore, anch’esso occulto, di non apparire direttamente nei documenti ufficiali.

Sacrosante dichiarazioni di principio ma avulse dalla realtà. Spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, dico bene dimostrare, che una o piu’ società sono state costituite a scopo di elusione fiscale. Non esistono società che per natura od oggetto sociale siano destinate all’elusione fiscale.

Nel diritto societario italiano non esistono tipi di società che consentano ai soci, imprenditori o no, di mantenere l’anonimato. Se questa disdicevole condizione viene raggiunta da alcuni utilizzando legalmente e lecitamente società estere gli strali dell’Amministrazione Fiscale non devono essere diretti verso i cittadini italiani bensì contro quei paesi, anche europei e purtroppo civili e con un carico fiscale nettamente inferiore rispetto a quello italiano, che consentono simili riprovevoli pratiche.

In conclusione le società di comodo sono quelle società che il legislatore presume, notiamo bene presume, non siano operative e risultino, notiamo anche la dizione risultino, costituite solo a scopi elusivi.

Tralasciamo per carenza di riscontri oggettivi le società costituite a scopi elusivi.

Le altre società di comodo sono quelle definite come “società in perdita sistematica” e che, secondo l’Amministrazione Finanziaria, si possono idealmente ripartire in due categorie: le società non operative e le società in perdita sistematica.

Vediamo, a titolo di esempio, un paio di comportamenti riprovevoli.

Tizio costituisce una società nella quale confluiscono i suoi beni immobili che ,per ora, son utilizzati di soli soci e quindi nessun ricavo per la società. Società di comodo, non direi, società costituita a scopi di elusione non direi, tutto è trasparente. Tizio ha preferito intestare i suoi immobili ad una società per evitare eventuali, future ed ancorché incerte azioni dirette sul suo patrimonio. Come dire: se Equitalia vuol attaccarmi deve passare per un’azione sulle quote della società e dovrà adeguarsi alle limitazioni ed agli obblighi procedurali.

Caio intende studiare nuove tecniche industriali di produzione, crea una società, i tempi dello studio e della sperimentazione sono lunghi e superano i fatidici tre anni. Stesse domande e stesse risposte. Società di comodo, non direi, società costituita a scopi di elusione non direi, tutto è trasparente. E’ vero che sono previste cause di esclusione, cause di disapplicazione automatica, possibilità di interpello e di ricorso contro il mancato accoglimento dell’interpello.

Alle società di comodo viene obbligatoriamente attribuito un presunto reddito minimo. L’individuazione delle società di comodo avviene attraverso un test di confronto tra i ricavi dichiarati e i ricavi presunti che la società si stima dovrebbe generare in base ai valori iscritti all’attivo di bilancio ( test di operatività ).

Il passo successivo è la determinazione del reddito minimo da attribuire alla società di comodo ed avviene in maniera matematica attraverso un calcolo che si effettua applicando talune percentuali prefissate al valore delle attività patrimoniali dell’anno in corso .

Sono inoltre previste forti limitazioni alla gestione dell’eventuale credito IVA ed al riporto dello stesso.

Si presume quali siano le società di comodo, si presumono gli elementi del test di confronto costi -ricavi , questi ultimi sono anch’essi presunti. Bei tempi quando la Cassazione insegnava che non si possono ricavare presunzioni da presunzioni: un’altra epoca, il cittadino non era ancora schiavo fiscale.

Dulcis in fundo, si fa per dire in fundo e si fa per dire dulcis, sul reddito immaginario, il nostro contribuente paga le imposte con una maggiorazione del 10,50 per cento: nessun commento.

Fine dell’avventura.

In decenni di fallimenti l’Amministrazione fiscale è passata attraverso ‘evasione fiscale, la frode fiscale, l’erosione della base imponibile, l’elusione e buon ultimo l’abuso di diritto.

La figura dell’abuso di diritto non è previsto da alcuna legge, è stato introdotto dalla Cassazione, che ormai legifera con buona pace della divisione dei poteri dello Stato.

La Cassazione afferma “ il divieto di abuso di diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.”

Se noi, per esercitazione scolastica procediamo a trasfondere questi concetti nella valutazione del comportamento di chi ha messo in essere il pasticcio delle società di comodo possiamo concludere sull’esistenza del reato di abuso di potere.

La Cassazione potrebbe introdurre un nuovo principio: “ l’abuso di potere rappresenta un principio generale repressivo, il quale preclude all’Amministrazione finanziaria il conseguimento di vantaggi di cassa ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un aggravio d’imposta o l’applicazione di nuova imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa del beneficio di cassa.”

In conclusione tutta questa manfrina delle società di comodo non produrrà grandi entrate per le casse nel fisco. Per la stragrande maggioranza di queste società basta emigrare in un altro paese della Comunità Europea. C’è lo scoglio dell’Exit Tax, ma la Corte di Giustizia Europea ci verrà in aiuto ancora una volta.

Si avrà qualche crisi nervosa dei contribuenti psichicamente piu’ deboli che saranno prontamente curati dal Servizio Sanitario Nazionale; aggravando ulteriormente il proprio deficit.

Per contro sul piano sociale questa iniziativa si rivela un utile strumento di lotta alla disoccupazione, specialmente quella qualificata. Le veline, che nulla hanno a che fare con quelle di striscia la notizia, sono state distribuite e prontamente duplicate.

Corsi, convegni con tanto di crediti formativi, libri, programmi informatici per verificare la possibile appartenenza alle società di comodo: è un mondo che sa adeguarsi e trarre profitto dalle esternazioni dell’Amministrazione Finanziaria.


Guido Ascheri

Ragioniere Commercialista e Chartered Accountant

www.ascheri.co.uk

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