Il neo-insediato Presidente Consob, dott. Mario Nava, nel suo primo incontro annuale con la comunità finanziaria ha affermato come «occorra ancora agevolare l’accesso delle imprese al mercato borsistico».

L’obiettivo è quello di incoraggiare «il ricorso a fonti di finanziamento complementari ed alternative al credito bancario», stimolando così l’apporto di capitale di rischio e, più in generale, una maggiore diversificazione della struttura finanziaria delle imprese.

Se si pensa all’enorme massa di liquidità presente oggi sul mercato, anche grazie allo strumento dei Pir (Piani individuali di risparmio), che convogliano parte del risparmio degli italiani verso le piccole e medie imprese, si comprende quanta attenzione richieda la facilitazione all’accesso al mercato, e quanta cultura finanziaria sia necessaria ai risparmiatori, per conoscere le opportunità ed i rischi di un investimento in borsa.

Nava ha infatti sottolineato come buona parte degli italiani necessiti di una maggior educazione finanziaria e che «una delle pre-condizioni alla base di un circolo virtuoso finanza- crescita-benessere finanziario individuale” è che i risparmiatori siano consapevoli delle loro attitudini e conoscenze», in modo da poter compiere scelte adeguate.

Argomento quest’ultimo particolarmente caro al dott. Nava, sul quale era intervenuto anche durante la presentazione a Bruxelles del libro «Banchieri», scritto dal Prof. Beppe Ghisolfi, da sempre in prima linea nella diffusione della cultura e della educazione finanziaria.

Se sul piano dell’educazione finanziaria degli italiani comincia a muoversi qualcosa di organizzato, promosso e fortemente voluto principalmente dall’Abi, dal punto di vista delle agevolazioni, il decreto ministeriale 23 aprile 2018, che attua l’art. 1, comma 89, della Legge di bilancio 2018, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 139 del 18 giugno 2018.

Si tratta di un provvedimento scritto di concerto tra il Ministero dello sviluppo economico (Mise) ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), con il quale viene introdotto un credito d’imposta del 50% dei costi di consulenza sostenuti dalle Pmi italiane nella fase che precede la quotazione su un mercato regolamentato o un sistema multilaterale di negoziazione di uno Stato membro dell’Unione Europea.

L’obiettivo è quello di agevolare l’accesso al mercato dei capitali e risolvere il problema del «nanismo industriale» che agisce da freno alla crescita del sistema paese.

Questo credito d’imposta rappresenta un incentivo rilevante alla quotazione, in quanto i costi di consulenza per un’Ipo (Offerta Pubblica Iniziale) sono piuttosto rilevanti, soprattutto per le Pmi.

La norma prevede che il credito d’imposta venga concesso alle società che avviano l’iter della quotazione a decorrere dal 1° gennaio 2018, e fino al 31 dicembre 2020, ed ottengano l’ammissione alla quotazione entro quest’ultima data. Nello specifico, potranno beneficiare dell’agevolazione le piccole e medie imprese come definite dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, che prevede il rispetto dei seguenti parametri:

  • dipendenti medi annui compresi tra i 10 ed i 250;
  • fatturato annuo compreso tra 2 e 50 milioni di euro o totale annuo di bilancio compreso tra 2 e 43 milioni di euro.

Nel calcolo dei parametri occorre valutare eventuali rapporti di controllo o collegamento societario. Il decreto attuativo contiene l’elenco dei costi che possono fruire del bonus quotazione. Si tratta di prestazioni e consulenze specifiche, che anche le grandi banche italiane sono già in grado di fornire. Da Bper a Mediolanum, da Ubi ad Intesa San Paolo, i principali player del credito hanno già organizzato forti squadre di professionisti dell’investment banking in grado di quotare le Pmi.

Tra i costi ammissibili al beneficio rientrano:- attività sostenute in vista dell’inizio del processo di quotazione e ad esso finalizzate, quali, tra gli altri, l’implementazione e l’adeguamento del sistema di controllo di gestione, l’assistenza dell’impresa nella redazione del piano industriale, il supporto all’impresa in tutte le fasi del percorso funzionale alla quotazione nel mercato di riferimento;

  • attività fornite durante la fase di ammissione alla quotazione e finalizzate ad attestare l’idoneità della società all’ammissione medesima e alla successiva permanenza sul mercato;
  • attività necessarie per collocare presso gli investitori le azioni oggetto di quotazione;
  • attività finalizzate a supportare la società emittente nella revisione delle informazioni finanziarie storiche o prospettiche e nella conseguente preparazione di un report, ivi incluse quelle relative allo svolgimento della due diligence finanziaria;
  • attività di assistenza della società emittente nella redazione del documento di ammissione e dei documenti utilizzati per il collocamento presso investitori qualificati o per la produzione di ricerche così come definite nell’articolo 3, comma 1, numeri 34 e 35 del Regolamento (UE) n. 596/2014;
  • attività riguardanti le questioni legali, fiscali e contrattualistiche strettamente inerenti alla procedura di quotazione quali, tra gli altri, le attività relative alla definizione dell’offerta, la disamina del prospetto informativo o documento di ammissione o dei documenti utilizzati per il collocamento presso investitori qualificati, la due diligence legale o fiscale e gli aspetti legati al governo dell’impresa;
  • attività di comunicazione necessarie a offrire la massima visibilità della società, a divulgare l’investment case, tramite interviste, comunicati stampa, eventi e presentazioni alla comunità finanziaria.

Le spese possono consistere in un importo pattuito in misura fissa oppure parzialmente proporzionata al successo dell’operazione di quotazione. L’effettività del sostenimento dei costi e l’ammissibilità degli stessi ai sensi del presente decreto devono risultare da apposita attestazione rilasciata dal presidente del collegio sindacale, oppure da un revisore legale iscritto nel registro dei revisori legali, o da un professionista iscritto nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.

Il credito d’imposta può essere riconosciuto, fino a un importo massimo di 500.000 euro, nella misura massima del 50% dei costi ammissibili complessivamente sostenuti a decorrere dal 1° gennaio 2018, fino alla data in cui si ottiene la quotazione e, comunque, entro il 31 dicembre 2020.

Esso viene riconosciuto a seguito di un’istanza da presentarsi a partire dal 1° ottobre dell’anno della quotazione e sino al 31 marzo dell’anno successivo.

Quanto alle modalità di utilizzo, il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, mediante il modello F24, ai sensi dell’art. 17 del D. Lgs. 241/97, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata ottenuta la quotazione.

Non si applica il limite generale annuale di 700.000 euro per le compensazioni nel modello F24 (art. 34 della L. 388/2000), né il limite annuale di 250.000 euro per la compensazione dei crediti d’imposta derivanti da agevolazioni fiscali, da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi (art. 1, comma 53, L. 244/2007).

Il credito d’imposta deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di maturazione del credito e nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d’imposta successivi, fino a quello nel quale se ne conclude l’utilizzo.

Viene, inoltre, previsto che tale credito d’imposta non concorre alla formazione del reddito, ne’ della base imponibile Irap.


Luigi Gesaldi

Dottore Commercialista in Reggio Emilia

gesaldi@studiodilorenzo.it

Articolo tratto dalla rivista BancaFinanza del 30 luglio 2018, N.3

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