Il commercio elettronico consiste nell’insieme delle transazioni effettuabili per via telematica in relazione alle prestazioni di servizi e alla cessione di beni.

Nel commercio elettronico indiretto, l’operazione si conclude per via telematica, mentre la consegna fisica del bene segue i tradizionali canali. Nel commercio elettronico diretto, oltre all’ordine, avviene anche la consegna telematica del prodotto e/o servizio, tipicamente un bene digitale. E la trasmissione per via telematica consente di scindere il bene immateriale dal suo supporto materiale (ad esempio, la cessione di libri, giornali, video, musica…). 

Ipotizziamo una società (magari ubicata in un paese a bassa tassazione) che venda software o file audio MP3 tramite internet. Alla ricezione dell’ordine, magari da un cliente italiano, riceve il pagamento e mette a disposizione prodotto digitale per il download. In questo caso si pone il problema della localizzazione del reddito. Il fornitore non avrà alcuna presenza fisica in Italia e il contratto è stato concluso in un luogo virtuale. L’unica “fisicità” del contratto risiederebbe, al massimo, presso il server localizzato all’estero. Google, giusto per fare un esempio, è proprio una società localizzata in Irlanda che mette a disposizione gratuitamente i servizi del proprio motore di ricerca guadagnando sugli spazi pubblicitari messi a disposizione delle imprese. Nelle varie giurisdizioni europee ha solo filiali che non sottoscrivono contratti, stipulati direttamente dalla società irlandese. In questo caso il ricavo è quindi prodotto in Irlanda.

Come si vede il commercio elettronico ha rivoluzionato il concetto tradizionale di luogo di produzione del reddito e di “stabile organizzazione imponendo una completa rivisitazione delle relative problematiche tributarie. Nell’ordinamento italiano, la stabile organizzazione è definita dall’articolo 162 del Tuir che, nonostante alcune differenze, riprende la struttura e il contenuto dell’articolo 5 del Modello di Convenzione Ocse contro le doppie imposizioni, versione 2003. In base al quale all’art. 162 la stabile organizzazione “designa una sede fissa d’affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato”. Pertanto, deve trattarsi di una sede localizzata sul territorio in modo non occasionale per l’esercizio di una attività economica e “non costituisce di per sé stabile organizzazione la disponibilità a qualsiasi titolo di elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta e la trasmissione di dati e informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi”. Ciò comporta che le apparecchiature elettroniche (tra cui anche il server) costituiranno stabile organizzazione soltanto nel caso in cui siano utilizzate in modo significativo ed essenziale per lo scambio di beni e servizi ovvero per lo svolgimento di una concreta attività non ausiliaria o preparatoria. Da ciò ne conseguirebbe che il server attraverso cui l’impresa non residente e proprietaria del server gestisce esclusivamente via Internet l’insieme delle sue attività ovvero la ricerca del cliente, la conclusione del contratto, il pagamento nonché la consegna della merce, costituisca “una stabile organizzazione”.

Limitando per ora le nostre osservazioni alla sola IVA, le regole varieranno a seconda della nazionalità (italiana, UE o extracomunitaria) e se il cessionario sarà soggetto Iva o un consumatore privati, e sempre nell’ipotesi che i beni ceduti siano inviati dall’Italia nel Paese di residenza del cliente.

Si osserva uno strabismo tra trattamento fiscale in caso di commercio elettronico diretto e indiretto. Ai fini IVA nell’ipotesi di commercio elettronico diretto, infatti, le cessioni via web sono considerate prestazioni di servizi, con la conseguenza che tutte le operazioni saranno, ai fini IVA, prestazioni di servizi. La cessione del medesimo bene, a seconda che esso sia “materiale” o “immateriale” potrà determinare quindi un diverso trattamento fiscale.

Il commercio elettronico indiretto, invece, dove la transazione avviene telematicamente ma la consegna avviene “tradizionalmente” si configura, ai fini IVA, come una normale cessione di beni (si veda in proposito la risoluzione n. 133/E del 2004 che definisce Internet come “un canale alternativo di offerta”). La cessione ai fini IVA viene quindi assimilata alle vendite per corrispondenza, con applicazione delle relative norme. Anche nel caso di un cedente italiano che venda ad un acquirente italiano (quindi vendite “Italia su Italia”) si applicheranno le disposizioni previste dall’art. 2 del D.P.R. 633/72 che disciplinano le “cessioni di beni”: l’operazione sarà territorialmente rilevante in Italia e il cedente dovrà applicare l’imposta nei modi ordinari, con l’aliquota propria del bene ceduto. Trattandosi di operazione assimilata alle vendite per corrispondenza non è obbligatoria l’emissione della ricevuta fiscale o dello scontrino o della fattura, salvo che la stessa non sia richiesta. 

Si dia ora, invece, il caso di cedente soggetto passivo IVA UE e di acquirenti UE. Qui bisognerà distinguere se l’acquirente sarà un privato o un’impresa. Nel primo caso saranno applicabili le disposizioni previste per le vendite a distanza, per cui se il cedente italiano, nell’anno precedente e in quello in corso, avrà effettuato nello Stato UE di residenza del cliente vendite a distanza di ammontare inferiore a € 100.000,00 (o al minor limite stabilito dalla disciplina interna di ciascun Stato UE che, in ogni caso, deve essere ricompreso tra 35.000,00 e 100.000,00 euro), le cessioni saranno imponibili in Italia, a meno che il cedente italiano non opti per l’applicazione dell’IVA nello Stato di destinazione. Quindi il cedente potrà continuare ad assoggettare l’operazione ad IVA nazionale. Invece nel caso l’ammontare delle vendite nell’altro Stato membro sia invece superiore alla soglia di cui sopra, l’operazione verrà considerata come effettuata nello Stato dell’acquirente e il cedente sarà tenuto ad assolvere ai relativi obblighi IVA e dovrà nominare un rappresentante fiscale nello Stato estero ovvero identificarsi direttamente nell’altro Stato ai fini dell’assolvimento dell’IVA. 

Nel caso in cui le cessioni siano effettuate nei confronti di soggetti passivi IVA, all’operazione si applicheranno le normali regole delle cessioni intracomunitarie ex art. 41, D.L. 331/1993 e sarà fatturata come non imponibile e indicata nei modelli Intrastat. 

Nel caso di acquirenti extracomunitari, si dovranno seguire le normali regole IVA previste dall’art. 8, D.P.R. 633/1972 per le esportazioni, cioè si fattureranno le operazioni come non imponibili.

Infine, se il cedente è extracomunitario e l’acquirente è UE l’operazione sarà considerata come un’importazione effettuata tramite posta con IVA da assolvere in Dogana.


Paolo Battaglia

Dottore Commercialista in Ragusa


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