Commento alla sentenza Corte di Cassazione Sez. Tributaria n. 22531/2017

L’esame della sentenza citata ci consente di approfondire due tematiche dirimenti e tra loro certamente collegate, inerenti da una parte il diritto comunitario processuale e dall’altra parte quello sostanziale, sia europeo che nazionale.

Il caso specifico oggetto dell’ordinanza della Suprema Corte:

Nella recentissima ordinanza n. 22531 del 27.09.2017 i Giudici di legittimità si sono espressi in materia di TARSU e, più dettagliatamente, muovendo dalla censura proposta dal ricorrente circa la supposta erronea affermazione della legittimità della previsione regolamentare di diversificazione tariffaria tra locali ad uso alberghiero e locali ad uso abitativo e la sostanziale violazione del principio UE del “chi inquina paga”.

Secondo la Corte, manifestando un orientamento consolidato, in tema di TARSU la disciplina contenuta nel D. Lgs. 507/1993 sull’individuazione dei presupposti della tassa e sui criteri per la sua quantificazione non contrasta con il principio comunitario “chi inquina paga”, sia perché è consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell’immobile, sia perché la detta disciplina non fa applicazione di regimi presuntivi che non consentano un’ampia prova contraria, ma contiene previsioni che commisurano la tassa ad una serie di presupposti variabili o a particolari condizioni”.

Il principio così enunciato trae il proprio fondamento da precedenti sentenze CGUE (Cfr. 24.06.08 nella causa C -188/07 e 16.07.09 in causa C – 254/08) nella valutazione di conformità della disciplina nazionale in materia, rispetto ai principi espressi dalla direttiva 2006/12.

In particolare, il fulcro su cui si basa la decisione degli Ermellini consta nel fatto che il limite posto dalla Corte di giustizia alla discrezionalità delle autorità nazionali costituisce attuazione del principio di proporzionalità, largamente applicato dalla giurisprudenza comunitaria in materia fiscale, secondo il quale “non sono ammessi regimi d’imposizione i cui fatti costitutivi si fondano su presunzioni legali che non ammettono prova contraria”.

Tale è dunque il principio di diritto sostanziale espresso.

L’azione impositiva della pubblica amministrazione soggiace ad elementi propri sia del diritto nazionale che del diritto comunitario e che sono alla base dell’agire amministrativo (di cui il diritto tributario fa parte) quali l’adeguatezza, la ragionevolezza e la proporzionalità.

In merito a quest’ultimo, vale la pena sottolineare che quando si afferma che non sono ammessi regimi d’imposizione i cui fatti costitutivi si fondano su presunzioni legali che non ammettono prova contraria, ciò equivale a dover ragionevolmente considerare che l’esercizio del potere di controllo in materia fiscale deve ritenersi sindacabile sine die e senza soluzione di continuità dal momento che la tutela costituzionale da un lato e quella comunitaria dall’altro, con i principi sopra espressi, consentono al contribuente di opporsi alla domanda impositrice dell’amministrazione finanziaria assumendo, appunto, la prova contraria.

Lo strumento attuativo del principio di proporzionalità, posto a salvaguardia del contribuente, risiede nel recepimento non solo di direttive e regolamenti dell’unione europea, ma anche delle sentenze emesse dalla Corte di Giustizia, unico organo deputato a fornire l’interpretazione del diritto comunitario.

E poiché tra le fonti del diritto, quello europeo deve dirsi in cima alla piramide, sovrastante quello nazionale, tanto da comportare la disapplicazione di quelle norme che si pongano in contrasto con i principi espressi dalle fonti europee, il giudice nazionale non potrà non tenerne conto, in ogni campo, compreso anche quello tributario.

Sul punto non possono esserci equivoci di sorta, ed è la stessa Corte costituzionale ad affermare che ”le statuizioni interpretative della Corte di giustizia delle comunità europee hanno, al pari delle norme comunitarie direttamente applicabili, operatività immediata negli ordinamenti interni”, così come le norme comunitarie come interpretate da pronunce rese dalla medesima Corte in sede contenziosa (Sul punto ex multis: Corte Costituzionale ord. n. 132/1990; Corte Costituzionale ord. n. 444/1991; Corte Costituzionale ord. 168/1991).

Esse rappresentano una fonte di diritto oggettivo, sulla base delle quali lo Stato membro deve adeguare le proprie norme se ed in quanto dichiarate incompatibili rispetto a quelle.

Dovremo quindi abituarci sempre di più ad uno studio del diritto – in ogni suo settore – che abbia un panorama più ampio, che si alleni a ragionare a largo spettro, che accolga principi di portata più estesa che spesso, per forma mentis, non siamo pronti a considerare ma il cui recepimento non è soltanto fondamentale per la tutela dei diritti di tutti i consociati, ma soprattutto lo è per considerarci davvero parte di un sistema più complesso e più grande il quale ci consente di disancorarci da elementi che, per essere troppo legati alla storia impositiva del nostro paese, rischiano di lasciarci fuori dall’Europa e di comportare una diseguaglianza di trattamento non giustificata.


Avv. Alessandra Donatello

Avvocato e mediatore civile e commerciale

alessandra.donatello@gmail.com


.