Funzioni tipiche ed interdipendenza negoziale

Il contratto preliminare, contratto in sé perfetto, risponde essenzialmente ad esigenze diffusamente avvertite nella pratica degli affari, e costituisce tra i più frequenti atti preparatori finalizzato alla conclusione del negozio definitivo. Il “preliminare” quindi obbliga le parti a concludere, in un successivo momento, un ulteriore, specifico ed autonomo contratto, il cui contenuto, delineato nei suoi elementi essenziali, si distingue dall’obbligo inizialmente assunto da una o da entrambe le parti contraenti. L’oggetto del contratto richiamato dall’art. 1351 cod. civ. consiste pertanto in una prestazione di fare; cioè nell’impegno (obbligazione) a prestare un futuro consenso, mentre la definitiva regolamentazione dell’affare deriva dal contratto definitivo. L’utilità concreta del contratto preliminare appare pertanto evidente posto che consente di fissare in termini immediatamente e giuridicamente vincolanti l’accordo delle parti e di assicurare così la conclusione del contratto definitivo.

Si rileva altresì che il contratto preliminare va tenuto distinto dalle cd. minute, che documentano gli accordi già raggiunti, fino ad un determinato momento, nelle trattative in corso. Tali accordi non sono vincolanti per le parti, ma assumono solo il valore di pro-memoria per l’ulteriore svolgimento delle trattative

Il preliminare va tenuto distinto dal contratto normativo essendo quest’ultimo diretto a regolare una serie, quanto meno potenziale, di rapporti, mentre il contratto preparatorio opera analogamente, ma riguardo ad un unico futuro contratto. D’altro canto, poiché determina soltanto l’obbligo alla stipulazione del contratto definitivo, il preliminare resta superato dal secondo (in senso temporale), la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del negozio precedente, senza che per ciò sia necessario un distinto accordo novativo.

La disciplina codicistica del contratto de quo, si limita solo a fornire indicazioni in merito: a) forma del contratto (art. 1351 cod.civ.); b) possibile esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre (art.2932 cod.civ.); c) trascrivibilità del preliminare (art. 2645-bis; d) privilegio speciale sopra l’immobile ai crediti del promissario acquirente nel caso di mancata esecuzione del contratto preliminare (art. 2775-bis cod.civ.).

Nonostante tale scarna disciplina del contratto è dato desumere che il preliminare è un contratto giuridicamente vincolante ma non autosufficiente, in quanto (a) impone alle parti la stipula di un altro contratto (definitivo); inoltre, (b) deve fissare almeno il contenuto essenziale del contratto definitivo. Questa appare una delle poche indicazioni che si possono dare con riferimento al contenuto del preliminare. Quest’ultimo deve contenere gli elementi essenziali atti ad individuare e determinare l’oggetto e il contenuto del definitivo rispetto al quale ha funzione preparatoria.

Infine, da tale disciplina emerge (c) che fra i due negozi temporalmente distinti, si determina un vincolo pregnante che trova una specifica tutela, costituita dal rimedio di cui all’art.2932 cod.civ., oltre che da quello più generale della risoluzione del contratto.

Sorge pertanto il problema della relazione tra le due distinte unità negoziali intercorrenti tra identiche Parti (contratto preliminare e definitivo) stante la concreta esigenza di intendere quando il contratto concluso successivamente possa considerarsi definitivo rispetto al preliminare, e quindi possa qualificarsi come negozio di adempimento del precedente contratto.

Le parti, invero, pur avendo di mira specifici e distinti risultati, uniscono gli effetti degli atti negoziali, connotati da elementi causali eterogenei.

In ordine al tema del rapporto preliminare-definitivo, é dato configurare una specifica sequenza dei due negozi che integra una relazione di tipo necessario. Sicché, sussiste un legame in senso tecnico, stante la considerazione unitaria della fattispecie; quello di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale [1].

A conferma, la Suprema Corte, con orientamento granitico, ha statuito che: «il collegamento contrattuale, che può risultare legislativamente fissato (quindi tipico), o costituire espressione della più ampia autonomia contrattuale indicata nell’art. 1322 c.c. (quindi, atipico), nei suoi aspetti generali non dà luogo ad un autonomo e nuovo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Il “contratto collegato” non è, quindi, un tipo particolare di contratto, ma uno strumento di regolamento degli interessi economici delle parti, caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto (invalidità, inefficacia, risoluzione, ecc.) possono ripercuotersi sull’altro, seppure non in funzione di condizionamento reciproco (ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all’altro, e non anche viceversa) e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio.

Tuttavia, se pure il collegamento dei due contratti delineato dalle parti può determinare un vincolo di reciproca dipendenza tra di essi, così che le vicende relative all’invalidità, all’inefficacia o alla risoluzione dell’uno possano ripercuotersi sull’altro, detto collegamento non esclude che i singoli contratti si caratterizzino ciascuno in funzione di una propria causa e conservino una distinta individualità giuridica[2]. In linea più generale, in caso di collegamento funzionale tra più contratti, non dando essi luogo ad un contratto unico, ma, conservando la propria individualità giuridica, gli stessi restano conseguentemente soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema negoziale, mentre l’interdipendenza si risolve nel principio di una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, per cui “simul stabunt, simul cadent”» [3].

Con il collegamento negoziale volontario si realizza un legame causale tra due o più negozi, contestuali o anche successivi, volto al conseguimento di un risultato ed in un assetto di interessi che trascendono la funzione dei singoli negozi, di modo che ciascuno dei negozi concorrenti o in sequenza produce gli effetti giuridici conformi alla sua destinazione, ma gli stessi, inoltre, nella loro sintesi e nella loro sequenza, sono produttivi di effetti giuridici ulteriori, costituendo ciascuno uno strumento di integrazione della funzione economico-sociale in concreto perseguita dalle Parti; sicché il rapporto giuridico che ne viene costituito ha nel collegamento dei negozi la sua fonte genetica e/o il suo regolamento funzionale [4].

Il contratto preliminare ed il contratto definitivo sono sì negozi tra loro collegati, ma espressivi ciascuno di autonomia negoziale delle parti; l’uno il preliminare, avente ad oggetto soltanto l’obbligazione di stipulare un successivo contratto (definitivo), di cui si determina il contenuto negoziale; l’altro, il definitivo, avente ad oggetto la costituzione del rapporto negoziale, il cui contenuto essenziale è stato determinato nel contratto preliminare[5].

Si evidenzia, in proposito, che attraverso tale collegamento le Parti perseguono un risultato economico complesso, da realizzarsi non già per mezzo di un autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di fattispecie negoziali. Queste ultime, conservano comunque una loro causa che resta autonoma, ancorché funzionalmente e teleologicamente collegate con l’altro contratto, fino al completo perfezionamento dell’intento voluto dalle Parti.

Naturalmente, accertare la natura, l’entità, le modalità e le conseguenze della relazione negoziale voluta e realizzata dalle Parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici [6].

In ordine al profilo soggettivo, va ribadito che non sembra indispensabile, ai fini della interdipendenza, il fatto che le parti dei vari negozi debbano coincidere[7]; deve tuttavia sussistere un comune intento delle medesime [8]. La giurisprudenza, di volta in volta, utilizzando i parametri classificatori del collegamento negoziale, ha segnato negli anni una significativa evoluzione, peraltro giungendo a conclusioni non sempre soddisfacenti sul piano della coerenza e su quello dell’effettivo contemperamento degli interessi da tutelare.

In tema di esecuzione ex art. 2932 cod.civ., la giurisprudenza di legittimità ha peraltro precisato che la condizione di stretta identità del bene oggetto del preliminare, non debba essere intesa nel senso di una rigorosa corrispondenza, ma in una ottica più ampia, in modo da rispettare l’esigenza che lo stesso bene non sia oggettivamente diverso, per struttura e funzione, da quello considerato e promesso.

Si è quindi ritenuta ammissibile la azione di esecuzione specifica proposta anche nell’ipotesi di un oggetto non perfettamente conforme a quello del preliminare, in quanto idonea a realizzare gli interessi voluti dal promissario acquirente nel negozio ex art. 1351 cod.civ.-

Ovviamente con il consenso di entrambe le Parti tutto è possibile; in questo caso però ci si troverebbe di fronte non ad un contratto definitivo in esecuzione del preliminare, ma al cospetto di un negozio autonomo, solo indotto da vincolo del preliminare.

[1]                       [1] Cfr., ex multis, Cass. 17.5.2010 n. 11974; Cass. 16.3.2006 n. 5851; Cass.,19.7.2012, n. 12454.

[2]                       [2] Sul tema, più in generale, cfr. Cass. 07/07/2004, n. 12454; 18/07/2003, n. 11240.

[3]                       [3] Così, testualmente in parte motiva: Cassazione civile 22 marzo 2013 n. 7255, in Guida al diritto 2013, 22, 62; fra le tante altre, cfr. anche: Cass. Civ., 8.10.2008, n. 24792, in Guida al diritto 2008, 46, 79; Cassazione civile, sez. III, 10 luglio 2008 n. 18884, in Guida al diritto 2008, 42, 80; Cassazione civile, sez. I, 5 giugno 2007, n. 13164, in Giustizia Civile Massimario 2007, 6, Il Civilista 2008, 5, 95 con nota di Lucido e Responsabilità Civile e Previdenza 2008, 10, 2048; Cassazione civile, sez. II, 27 marzo 2007, n. 7524, in Giust. civ. Mass. 2007, 3; Cassazione civile sez. III, 12 luglio 2005, n. 14611, in Giust. civ. Mass. 2005, 7/8 e Giur. it. 2006, 11, 2064 con nota di Battelli)

[4]                       [4] Cassazione civile, sez. I, 9 aprile 1983, n. 2520, in Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 4 e Foro it. 1983, I, 1900 e Cassazione civile, sez. III, 9 marzo 1984, n. 1641, in Giust. civ. Mass. 1984, fasc. 3-4.

[5]                       [5] Cass. 30.9.2009, n. 20989.

[6]                       [6] Cass.5.6.2007, n.13164.

[7]                       [7] Cass. Civ. Sez. I, 12733/95.

 [8]                       [8] Cass. Civ. Sez. II, 827/97 .


Vincenzo Saponaro

(vinsaponaro@libero.it)

Avvocato in Fasano (BR)


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