Il lettore che intenda trovare in questo articolo commenti sulla riforma del processo tributario è inviato a cambiare pagina perché ne resterà inesorabilmente deluso. Non troverete commenti dottrina o voli pindarici su ciò che poteva essere e non è stato, in quanto lascio tale incombenza a chi ha titoli e palmares che io non possiedo. 

Io sono un semplice osservatore di cosa succede e di come impattano le novità non tanto sul mio lavoro di difensore tributario (non faccio il difensore tributario, sono un difensore tributario)  ma sui diritti dei cittadini che sono, giornalmente, se va bene sviliti, se va male calpestati.

Si dirà che l’argent comanda il mondo e in questo caso ciò è assolutamente vero, tant’è che il rischio di perdere i fondi del PNRR, ha fatto fare ai nostri politici ciò che anni di richieste non erano riusciti a fare ovvero provare a bilanciare, a favore del Contribuente, il potere (o meglio strapotere) dell’Amministrazione finanziaria, nell’accertamento e nel pedissequo processo tributario. 

Nessuno ha mai messo in dubbio o censurato la lotta all’evasione ma il vituperato art. 53 della Costituzione diciamola tutta non ha mai spaventato nessuno. Tutti sappiamo che in sede di accertamento, la capacità contributiva ha sempre dovuto inchinarsi (dopo esser stata malmenata) alle presunzioni dell’Ufficio, vero cavallo di troia  nella fase procedimentale a fronte del quale qualunque contribuente, novello  Don Chisciotte, poco poteva fare.

E poco importa e poco consola che anche l’art. 6 della CEDU ha subito la stessa sorte;  insomma la tutela nella fase amministrativa e nel processo, per il contribuente restava una chimera affidata all’esame del Giudice. Le cose andavano così: l’Ufficio presumeva maggiori ricavi e poi in Giudizio invertendo l’onere della prova chiedeva al contribuente di provare l’improvabile.

Ma le cose ora paiono cambiare. Infatti dal 16.9.2022 a seguito dell’emanazione della legge 31.8.2022 n° 130 in G.U. n°204 del 1.9.2022 un riequilibrio sembra apparire all’orizzonte.

Compaiono poteri e doveri in capo ai Giudici e all’Ufficio che ove fossero davvero osservati, rendono giustizia ad anni di ingiustizia.

Al di là del nome cambiato da Commissione Tributaria Provinciale o Regionale ora chiamate Corte di Giustizia Tributaria di 1° e 2°, ciò che conforta è il passaggio alla prova testimoniale scritta, assunta con le forme dell’art. 257 bis del Codice civile. Adesso anche il Contribuente potrà provare circostanze o fatti prima a lui inibiti mentre erano concessi alla GDF e all’Ade nelle famose dichiarazioni di terzi.

Ma ciò che desterà un cambio epocale nelle strategie difensive ma soprattutto nelle motivazioni degli accertamenti è quanto si afferma nel comma 5 bis dell’art. 7 del D.lgs. 546/92 ovvero che l’Amministrazione deve provare in giudizio le violazioni contestate. Abbiamo finalmente una corrispondenza biunivoca tra prova procedimentale e prova processuale, le quali se esistono in una fase, specularmente non possono non esistere nell’altra.

Fino al 15.9.2022 la prova tributaria prendeva vita solo nel processo mentre assumeva la funzione di mero  ectoplasma nella fase procedimentale. Purtroppo che ciò sia stato considerato come un fatto naturale lo si deve anche alla giurisprudenza di legittimità che spesso ha sostenuto che l’amministrazione non è tenuta a indicare nella motivazione dell’atto le prove a fondamento della pretesa, poiché la motivazione attiene alla fase procedimentale mentre la prova solo a quella processuale.

Non v’è chi non veda che se una prova ha un valore nel processo non può non esserlo anche nella fase procedimentale. Ora con la novella normativa finalmente la prova, entra nel percorso di motivazione dell’accertamento, e diventa  un elemento necessario della medesima motivazione.

Per muoverci dalla filosofia alla pratica non sarà quindi infrequente chiedere al Giudice di valutare le prove e non le presunzioni. Come direbbe una nota pubblicità “no prova no party!”

Quindi la norma sancisce finalmente il fatto che la prova costituisce un elemento indefettibile della motivazione obbligando quindi l’amministrazione finanziaria a fornirla già nella fase procedimentale, e a  indicarla nella motivazione dell’atto impositivo.

Tale novità troverà fondamentale corollario nel dovere del Giudice di fondare la sua decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio obbligandolo ad annullare l’atto impositivo ove tale prova manchi o sia contraddittoria o sia insufficiente a dimostrare in modo circostanziato e puntuale.

Insomma, è cambiata l’aria. 

Starà alla responsabilità agli operatori del diritto che tale finestra di libertà aperta non venga rinchiusa da interpretazioni bizantine di cui sente già il mormorio.

 

Giuseppe Lepore

Ragioniere commercialista in Savona


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